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Raccolta fondi di Nicole
beneath the roots of our land.
But I shall grow into an olive tree,
a stubborn, unshakable witness.
Fadwa Tuqan, "Silent Prayer" (1967)
Di fronte alla sistematica distruzione di un popolo, indignarsi non basta più.
Le lacrime – come scrive Fadwa Tuqan – sono già nella terra.
Serve trasformare l’indignazione in qualcosa di vivo: in sostegno, in presenza, in alleanza.
Da oltre vent’anni, Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, affronta la violenza che segna un luogo dove i diritti vengono calpestati ogni giorno. Lo fa vivendo accanto alle famiglie palestinesi, accompagnandole a scuola, al lavoro, nei campi. Camminando tra le macerie delle case distrutte, tra ulivi sradicati, accanto a bambinə che conoscono già il volto della paura: la paura di perdere la propria casa, la propria scuola, di subire gli attacchi improvvisi da parte dei coloni israeliani armati. A Masafer Yatta, nel sud della Cisgiordania, si vive in uno stato di eccezione permanente, dove il tempo è sospeso e la normalità fragile.
Le colombe non gridano, non sparano, non impongono.
Stanno. Ascoltano. E testimoniano.
Portano una presenza discreta e umana, che ascolta, protegge e si fa scudo alla violenza con il corpo, la voce e le immancabili videocamere sottobraccio.
Accanto ai pastori di Jawaya, con il viso bruciato dal sole, veloci e instancabili.
Accanto a Aisha e suo fratello Tarek, nella loro piccola casa nel villaggio di Tuba, sotto un cielo immenso.
Accanto alle Benet dello shop, immancabilmente eleganti e gentili.
Accanto a H., a Sami, ad Ali.
Attacco dopo attacco, demolizione dopo demolizione, nelle notti in cui il freddo brucia le mani e nei giorni in cui il sole ti picchia in testa fino a stordirti, le colombe ci sono: testimoni instancabili, tenaci, testarde.
Io ho visto tutto questo.
Ho visto At-Tuwani dalla vedetta, alle prime ore del giorno.
Ho dormito nei letti scomodi di villaggi isolati, proprio sotto gli occhi degli avamposti (illegali) israeliani.
Ho guardato in faccia coloni armati, polizia, esercito.
Ho vissuto con i palestinesi l’occupazione militare israeliana, e ne ho condiviso paure, rabbia, umiliazione.
Ma ho anche condiviso molti iftar, mangiando fino a stare male.
Ho ascoltato racconti d’amore, di amicizia, di tempi in cui – in Palestina – si potevano ancora "prendere" le fragole dalle colonie.
Ho sentito il sole scaldarmi il viso, mentre una bambina a Mufaqqara mi metteva dei fiori freschi tra i capelli raccolti in una treccia, chiamandomi amira, principessa.
Ho lavato e cambiato due splendide gemelle appena nate, nel villaggio di Umm Dorit, vicino al calore del camino, bevendo l’immancabile tè zuccheratissimo.
Perché nonostante tutto, la vita continua a scorrere, ed esistere diventa Resistere.
Esserci diviene così una scelta politica e umana.
In un mondo dove ci si gira dall’altra parte, le colombe si avvicinano.
Oggi io non posso essere lì, ma posso esserci così, con una donazione che sostiene questa scelta. Una scelta scomoda, lucida, coraggiosa: la nonviolenza.
Dona con me.