Cammina con me a fianco della resistenza nonviolenta palestinese

Mentre a Gaza è in corso un genocidio, come dichiarato dagli stessi ministri israeliani, in Cisgiordania continua il violento programma, sempre apertamente dichiarato, di annessione delle terre da parte dei coloni israeliani. Scrivo da At-Tuwani, uno dei numerosi villaggi Palestinesi a sud di Hebron dove trascorrerò qualche mese con Operazione Colomba, a fianco della resistenza nonviolenta palestinese. Le persone che abitano questi villaggi vivono sotto occupazione da quasi 58 anni, circondati da sterminati insediamenti illegali abitati da coloni. L'area dove mi trovo, denominata Area C, è il 60% dei territori palestinesi occupati, ed è sotto controllo civile, amministrativo e militare israeliano, il che significa che per ottenere un permesso di costruire bisogna rivolgersi all'autorità israeliana. Ma i permessi di costruzione vengono quasi sempre negati. Quindi i palestinesi che vivono nella zona costruiscono ugualmente ma la maggior parte delle abitazioni, delle scuole, delle strutture per il bestiame riceve un ordine di demolizione. I bulldozer, scortati dalle jeep di soldati e polizia, si muovono senza preavviso tra le strade di questi villaggi, per distruggere pezzetti di vita, in pochi minuti. Da qualsiasi parte si rivolga lo sguardo, distese di insediamenti sovrastano il paesaggio, in continua espansione. Mi sono accorta di questa dinamica espansionistica molto chiaramente, quando alcuni giorni fa mi sono immersa nuovamente in questa terra. In pochi mesi, le colonie hanno preso sempre più spazio, sono nati nuovi avamposti che accrescono il clima d'assedio, lasciando un senso di claustrofobia che toglie quasi il respiro. Villette a schiera dai tetti rossi, fornite di tutto il necessario per il benessere e la crescita, contrastano fortemente con la fatiscenza dei villaggi palestinesi, che non hanno diritto neppure all'accesso alle fonti d'acqua. Dopo il 7 ottobre, la situazione è peggiorata: il controllo dell'area è passato totalmente nelle mani dei coloni israeliani, che decidono la quotidianità delle persone, intimidendo, attaccando, invadendo, arrestando, rubando il tempo, sbeffeggiando. Ho due immagini ferme nella mia mente, risalenti ai miei primi giorni qui: un anziano pastore palestinese, che conosce bene la sua terra, guarda allontanarsi con occhi pieni di fatica quattro ragazzini coloni armati, che hanno appena invaso quel suo spazio, divertendosi a spaventarlo. Abbiamo guardato insieme a lui nella sua stessa direzione, cercando di sottrargli un pezzo di quella fatica, perché pesasse un po' meno. Il giorno seguente un ragazzo della mia età gioisce per l'arrivo della polizia; noi vicino a lui attendiamo che la polizia allontani il colono che sta pascolando tra i suoi ulivi. È stato un attimo molto intenso da condividere, senza neppure dirsi una parola. Com'è finita è un'altra storia, o forse sempre la stessa. Per sostenere Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, con il quale mi trovo in Palestina, ho deciso di aprire una campagna di raccolta fondi, in modo che volontarie e volontari possano continuare a camminare al fianco delle comunità palestinesi, condividendo con anziani pastori e giovani ragazzi la fatica della resistenza nonviolenta.Grazie per il sostegno!

Cammina con me a fianco della resistenza nonviolenta palestinese

Raccolta fondi di Buba

Mentre a Gaza è in corso un genocidio, come dichiarato dagli stessi ministri israeliani, in Cisgiordania continua il violento programma, sempre apertamente dichiarato, di annessione delle terre da parte dei coloni israeliani.


Scrivo da At-Tuwani, uno dei numerosi villaggi Palestinesi a sud di Hebron dove trascorrerò qualche mese con Operazione Colomba, a fianco della resistenza nonviolenta palestinese. Le persone che abitano questi villaggi vivono sotto occupazione da quasi 58 anni, circondati da sterminati insediamenti illegali abitati da coloni. L'area dove mi trovo, denominata Area C, è il 60% dei territori palestinesi occupati, ed è sotto controllo civile, amministrativo e militare israeliano, il che significa che per ottenere un permesso di costruire bisogna rivolgersi all'autorità israeliana. Ma i permessi di costruzione vengono quasi sempre negati. Quindi i palestinesi che vivono nella zona costruiscono ugualmente ma la maggior parte delle abitazioni, delle scuole, delle strutture per il bestiame riceve un ordine di demolizione. I bulldozer, scortati dalle jeep di soldati e polizia, si muovono senza preavviso tra le strade di questi villaggi, per distruggere pezzetti di vita, in pochi minuti.


Da qualsiasi parte si rivolga lo sguardo, distese di insediamenti sovrastano il paesaggio, in continua espansione. Mi sono accorta di questa dinamica espansionistica molto chiaramente, quando alcuni giorni fa mi sono immersa nuovamente in questa terra. In pochi mesi, le colonie hanno preso sempre più spazio, sono nati nuovi avamposti che accrescono il clima d'assedio, lasciando un senso di claustrofobia che toglie quasi il respiro. Villette a schiera dai tetti rossi, fornite di tutto il necessario per il benessere e la crescita, contrastano fortemente con la fatiscenza dei villaggi palestinesi, che non hanno diritto neppure all'accesso alle fonti d'acqua.


Dopo il 7 ottobre, la situazione è peggiorata: il controllo dell'area è passato totalmente nelle mani dei coloni israeliani, che decidono la quotidianità delle persone, intimidendo, attaccando, invadendo, arrestando, rubando il tempo, sbeffeggiando.


Ho due immagini ferme nella mia mente, risalenti ai miei primi giorni qui: un anziano pastore palestinese, che conosce bene la sua terra, guarda allontanarsi con occhi pieni di fatica quattro ragazzini coloni armati, che hanno appena invaso quel suo spazio, divertendosi a spaventarlo. Abbiamo guardato insieme a lui nella sua stessa direzione, cercando di sottrargli un pezzo di quella fatica, perché pesasse un po' meno.


Il giorno seguente un ragazzo della mia età gioisce per l'arrivo della polizia; noi vicino a lui attendiamo che la polizia allontani il colono che sta pascolando tra i suoi ulivi. È stato un attimo molto intenso da condividere, senza neppure dirsi una parola. Com'è finita è un'altra storia, o forse sempre la stessa.


Per sostenere Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, con il quale mi trovo in Palestina, ho deciso di aprire una campagna di raccolta fondi, in modo che volontarie e volontari possano continuare a camminare al fianco delle comunità palestinesi, condividendo con anziani pastori e giovani ragazzi la fatica della resistenza nonviolenta.


Grazie per il sostegno!

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Dal 2002 i volontari e le volontarie di Operazione Colomba sono presenti in Palestina, prima nella Striscia di Gaza, ad Al Qarara (Khan Younis), poi dal 2004 in Cisgiordania, nel villaggio di At-Tuwani (colline a sud di Hebron). Oggi più che mai, quindi, la presenza dei volontari di Operazione Colomba è essenziale: per tutelare l’incolumità degli abitanti palestinesi della zona, che vogliono solo vivere sulla propria terra.

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